GODDAM, NINA!

regia di Thea Dellavalle

con Chiara Bosco, Luana Doni e Cristina Renda

luci Nicolò Mazzon
residenze artistiche Teatro della Caduta – Torino; Spazio Alice van Dam – Torino; Monastero Bormida – Asti

una produzione Doppeltraum Teatro

NUOVA PRODUZIONE /
PRIMA NAZIONALE 17 FEBBRAIO 2024 – SPAZIO KAIRÒS (TORINO)

 

Cosa accade ad un sogno differito? È l’inizio di un componimento di Langston Hughes, ma è anche la domanda marginale che ha accompagnato questo mettersi alla pari con una delle figure più complesse e strutturate della musica… Musica? Quale definizione si può dare alla musica di Nina Simone? Blues, jazz, soul? 

C’è un imbarazzo esistenziale non indifferente nel cercare di rispondere a questa domanda. Che è lo stesso imbarazzo presente nello spiegare perché un gruppo di donne bianche che di musica masticano il giusto abbiano deciso di confrontarsi con questa donna nera abitata dalla musica; è l’imbarazzo di chi prova a definirsi come uno solo dei molteplici aspetti che compongono la sua figura di artista, di militante, di dissidente, di donna sofferente, di fallibile. È l’imbarazzo di parlare di una delle figure di riferimento della lotta al razzismo, leggendo anni dopo articoli dove la definizione data di Nina Simone e di tutto quello che la sua musica creava era semplicemente “la negretta”.

E quindi, questo spettacolo è una continua lotta all’imbarazzo abbracciata con gioia, con coscienza e con un pizzico di provocazione rispetto ad alcuni punti evidentemente scomodi che una narrazione ispirata ad una figura così monumentale inevitabilmente porta a trattare; ma in ogni aspetto che ci ha interessate, in ogni testo che abbiamo cantato, in tutto quello che è stato prodotto ispirandosi a questa storia c’è la forza enorme di chi cade e si rialza, riannodando i fili della propria esistenza senza perdersene nessuno per strada.

Le smagliature sono la struttura che regge su la vita e la carriera di questa artista; e forse, la risposta più audace alla domanda: ma questo spettacolo di cosa parla? È proprio questa: di smagliature. Di tessuti allargati tanto da vederne le fibre che li compongono, e riconoscerle strutturate esattamente come le nostre; di rotture e dolori inenarrabili che abbiamo imparato a raccontare come fondanti, di lotte politiche che ci hanno dato vita e che abbiamo visto morire nel chiuso del bagno di un camerino tra le lacrime.

E di quanto si possa essere iconiche per chiunque, tanto da spingere una ragazza spaurita a prendere il nome di una diva bionda e accattivante, e a esplodere come unica e inimitabile Simone.

E allora, forse un sogno differito esplode, come dice Hughes, e diventa qualcosa di intoccabile e inarrivabile da raccontare come tale, aiutate da Čechov e da Genet nel cercare contesti narrativi plausibili nei quali cercare ganci a cui riannodare i fili di questa narrazione che, di base, non ha risposte da dare ma solo domande da porre.